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Sabotin / Sabotino

24 Luglio 2024
Acque
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Programma

ore 19:30 esplorazione della cresta sommitale del monte Sabotino e delle trincee della prima guerra mondiale a cura di Bogdan Potokar; partenza dal Dom na Sabotinu - Šmaver 2, 5250 Šolkan

ore 20:30 possibilità di cenare a proprie spese al ristorante Dom na Sabotinu (prenotazione obbligatoria: +386 (0)31656603)  o cena al sacco presso il Dom na Sabotinu

ore 21:30 inizio spettacolo presso il Dom Sabotinu

lingua evento: sloveno 

informazioni: +386 30313488

si ringrazia: Fundacija Poti miru na Posočju, Dom na Sabotinu, Bogdan Potokar

Sabotino, Sabotìn, in friulano Mont di San Valentin. 

Il 6 agosto del 1916, durante la sesta battaglia dell’Isonzo, i fanti del 78° Reggimento del Regio Esercito Italiano, i celebri lupi di Toscana, ne conquistano la cima assicurandosi così il controllo della soglia di Gorizia. 

Grande impresa, grande orgoglio, viva: se è vero che Valentino fu fatto santo, e santo dell’amore, per sostituire la festività pagana delle Lupercàlia – festività volta a garantire la fertilità delle greggi e in particolare la loro messa in salvo dagli attacchi dei lupi – gli Italiani non potevano scegliere luogo più adatto per esaltare il proprio ardimento, la propria prodezza, la propria nazione. 

D’Annunzio distillò magistralmente il tutto nel celebre Fu come l’ala che non lascia impronte, il primo grido avea preso il monte, dimenticandosi però di ricordare che le ultime sacche di resistenza ritiratesi nel ventre della montagna, per lo più soldati dalmati appartenenti al 37° Reggimento fucilieri dell’Imperial Regio Esercito Austroungarico, furono irrorati di petrolio e bruciati vivi come Muath al-Kasasbeh, il pilota giordano giustiziato dall’ISIS nel gennaio 2015. Come l’ala che non lascia impronte

“Maledetto D’Annunzio” tuona Bogdan battendo il pugno sulla tovaglia a quadretti di uno dei tavolini del suo ristorante appena sotto la cima del Sabotino, nell’edificio che fino a poco tempo fa ospitava una guarnigione di soldati jugoslavi. 

Quando però usciamo per prendere il percorso del museo all’aperto organizzato dalla fondazione Pot miru, si rasserena e prende a raccontarmi delle trincee, di come la guerra qui sia stata “più un fatto di piccone che di baionetta”, dell’impatto che i combattimenti hanno avuto sulla morfologia del costone meridionale e poi della stesura del confine dopo la seconda guerra mondiale, dei rapporti spesso amichevoli tra soldati italiani e jugoslavi: “Eran sempre qui a scambiarsi caffè, tabacco e i giornaletti con le signorine nude”. 

Quando arriviamo alla chiesa di San Valentino poi non dice più niente perchè tutt’intorno a noi è meraviglia: le Giulie innevate, gli altipiani boscosi della Bainsizza e di Tarnovo, l’Isonzo di lapislazzuli a serpeggiare tra le ultime alture per buttarsi poi nella piana friulana e nel mare, e poi Trieste, il campanile di Aquileia, e tra questa e quella il mare, l’Istria, e poi ancora un altro mare.