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Montemaggiore / Brezje

17 Luglio 2024
Acque
Confini
Conflitti
Tradizioni
Straniamenti

Programma

ore 17:00 esplorazione delle sorgenti del Natisone a cura del Corpo Forestale Regionale - stazione di Attimis; partenza da Montemaggiore presso la chiesa di san Michele Arcangelo - Montemaggiore 1, 33040 Taipana ed arrivo in località Ponte Vittorio (ritorno garantito con mezzi privati messi a disposizione dagli organizzatori)

ore 20:30 cena al sacco o possibilità di cenare a proprie spese presso il chiosco del B&B La Vrata Gialla - Montemaggiore 2, 33040 Taipana 

ore 21:30 inizio spettacolo presso la chiesa di san Michele Arcangelo di Montemaggiore

lingua evento: italiano

informazioni: +39 3281547471

si ringrazia: comune di Taipana, Corpo Forestale dello Stato - stazione di Attimis, B&B La Vrata Gialla, Italo Busiol

Monte Tenzeclavo, monte Ioànaz, monte Topli Uorch, monte Merzli Uorch, Rio Tasajauar, Rio Tasabazaretan, Casera Sredgnobardo, Casera Totisouze, e ancora: Tanacertegna, Orenavragnerop, Uonenastiemane, Unenabarde, Uonalopate, Unarobu, Tu Robu, Rohateza, Ostra Scala, Sliamanza… ma dove sono finito? 

In alcuni casi riesco ancora a riconoscere italianizzazioni forzate di parole slovene, ma in tanti altri, nella maggioranza, sono completamente perso, non capisco nulla. “È il ponassi” mi spiega Italo, un signore da Treviso che ha scelto di venire a vivere qui da più di trent’anni, “da po našem, che in sloveno significa a modo nostro. Purtroppo dopo il terremoto il paese si è svuotato, e oggi, a parte qualche matto, chi vuoi che venga a vivere quassù, isolato da tutto e da tutti? Così, senza persone, senza più comunità, il villaggio muore, e col villaggio muore anche il ponassi”. 

Penso al po našem che muore non tanto e non solo per il terremoto ma anche e soprattutto per il successo di politiche nazionali strutturalmente avverse alle alterità, alle differenze, e per lo spopolamento montano causato da logiche di sviluppo a senso unico. Penso al po našem che ancora resiste sulle cime dei monti, nei pascoli abbandonati all’erba alta, tra le pietre schiantate delle casere in rovina. Penso alle genti slovene che diedero questi nomi straordinari, chi erano? Come vivevano? Che rapporto avevano con questi pendii, queste balze, questi boschi di querce e di tigli, queste acque a rendere tutto slavato, scivoloso? 

E penso allora al Natisone che in sloveno è femmina ed è Nadiža, al Natisone che prima ancora era Natissa e prima ancora non lo sa nessuno, al Natisone che in antico aveva un altro corso, un corso che diede modo di fondare Aquileia, un porto fluviale aperto all’Adriatico, ai monti innevati del Libano, al delta verdeggiante del Nilo.

“Io le ho fatte tutte, le ho fatte: ho fatto la Libia, ho fatto l’Egitto, ho fatto l’Etiopia. Abbiamo fatto su dighe, messo giù briglie, costruito argini. Facevo via mesi e mesi ad Addis Abeba e poi tornavo qua qualche settimana alla casera Sredgnobardo, te lo immagini?”. Franco Sturma, classe 1949, nativo di qui, è appena arrivato a salutare il suo amico Italo. “Bellissima l’Etiopia: i monti Semien a strapiombo sul Tacazzè, le eriche arboree a torreggiare sopra sbalzi strapiombanti di nere rocce slavate, i kudú con le corna a spirale e la barba giù lungo tutto il collo, i babbuini gelada che più ci vai vicino più capisci quanto t’assomigliano… ma è bello anche qui, non ti pare?”.