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Bocche del Timavo / Monfalcone

14 Agosto 2024
Acque
Confini
Conflitti
Tradizioni
Straniamenti

Programma

ore 18:30 visita guidata all'area delle Bocche del Timavo a cura dello storico Roberto Todero; partenza dalla chiesa di San Giovanni in Tuba a San Giovanni di Duino - SS14, 34019 Duino Aurisina

ore 20:30 rinfresco a cura degli organizzatori all'oratorio san Michele di Monfalcone - via Giuseppe Mazzini 9, 34074 Monfalcone 

ore 21:30 inizio spettacolo all'oratorio san Michele di Monfalcone

attenzione! dopo la camminata presso le Bocche del Timavo ci si dovrà spostare autonomamente da San Giovanni di Duino all'Oratorio san Michele di Monfalcone 

lingua evento: italiano 

informazioni: +39 3281547471

si ringrazia: Oratorio san Michele, don Flavio Zanetti, Roberto Todero

ἐν αὐτῶι δὲ τῶι μυχῶι τοῦ Ἀδρίου καὶ ἱερὸν τοῦ Διομήδους ἐστὶν ἄξιον μνήμης͵ τὸ Τίμαυον· λιμένα γὰρ ἔχει καὶ ἄλσος ἐκπρεπὲς καὶ πηγὰς ἑπτὰ ποταμίου ὕδατος εὐθὺς εἰς τὴν θάλατταν ἐκπίπτοντος͵ πλατεῖ καὶ βαθεῖ ποταμῶι. 

Nel fondo poi del golfo Adriatico vi è il “Timavum”, un tempio consacrato a Diomede, e degno che se ne faccia menzione: ha infatti un porto, ed un bosco bellissimo, e sette sorgenti di acqua buona da bere, la quale si riversa presto nel mare, dopo essersi unita a formare un largo e profondo fiume. 

Così Strabone, poche righe prima di citare il geografo siriano Posidonio di Apamea, nel passaggio già letto pochi giorni fa a Škocjan riguardo al percorso del Timavo. Ma prima di Strabone, prima di Posidonio, prima del tempio consacrato a Diomede, il bosco consacrato al Signore degli Animali, dove i cani da caccia si rifiutavano di inseguire le prede e dove lupi e cervi convivevano pacificamente, e prima ancora del bosco consacrato al Signore degli Animali il lago attorno al bosco e soprattutto le risorgive del Timavo ad uscire dalla roccia viva, le impetuose risorgive consacrate alla Grande Dea. 

Secondo l’archeologa lituana Marija Gimbutas la Grande Dea, la divinità venerata in tutta Europa fino almeno all’arrivo delle popolazioni indoeuropee, non aveva un’iconografia univoca ma era rappresentata in centinaia di immagini diverse, costituite di volta in volta da diverse combinazioni di elementi antropomorfi, zoomorfi ed astratti, combinazioni in cui i riferimenti acquatici erano spesso predominanti: la dea era spesso raffigurata come un uccello acquatico, sul suo corpo prevalevano simboli astratti quali motivi a zig-zag e a meandri di chiaro riferimento acquatico e l’onnipresenza dei triangoli, a simboleggiare la vulva, era spesso in associazione con dei motivi a rete, a simboleggiare il liquido uterino, il mistero da cui sgorga la vita, come dall’acqua delle sorgenti, dall’acqua dei fiumi, dall’acqua del cielo. 

Rimango ancora un poco a scrutare le acque turbolente che sgorgano dalla roccia dando in infiniti vortici e mulinelli d’un colore indefinito tra glauco, turchese e ciano: c’è qualcosa d’arcano in questa potenza costante, inesauribile e gentile a erompere dalla terra, qualcosa del femminile che mi sfugge, qualcosa di Europa che non posso capire da solo. 

E fa una certa impressione attraversare poi la statale e ritrovarsi di colpo di fronte ad un pietrone tutto squadrato con incise nel marmo le seguenti parole: Rispettate il campo della morte e della gloria. Dietro di esso sono le petrose pedici del monte Hermada, che gli Italiani della Terza Armata provarono a prendere in tutti i modi senza mai riuscirci, lasciando sul campo migliaia di morti. “Qui presso il Timavo hanno avuto luogo alcune tra le battaglie più micidiali del fronte dell’Isonzo” mi confida Roberto Todero, storico triestino esperto di prima guerra mondiale, “non a caso proprio qui presso il fiume sono state raccolte le spoglie dell’undicesimo milite ignoto, trasferite poi insieme alle altre dieci ad Aquileia per scegliere quale consacrare all’altare della Patria a Roma”. 

Ritorno al Timavo, alla chiesa di san Giovanni in Tuba. L’abside è allagata, i mosaici policromi a nodi di Salomone sono sott’acqua, tra i plinti delle colonne crescono verdi erbe crucifere. Per un attimo mi illudo che fuori dalla chiesa sia ancora il Lacus Timavi di cui parlava Tito Livio riprendendo il largo e profondo fiume di Strabone, ma è un attimo, perché in realtà oggi è solo traffico, rumore e i loca deserta del Lísert occupati dalla zona industriale.